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Pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole e comparativa

Premessa

 

Il 21 settembre del 2007 sono entrati in vigore i decreti legislativi n. 145/2007 e 146/2007 che recepiscono le direttive comunitarie 2006/114/CE e 2005/29/CE, e che introducono una nuova disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa (modificando il decreto legislativo n. 206/2005 - Codice del consumo) e delle pratiche commerciali sleali o scorrette la cui attuazione è affidata all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

 

Ai comportamenti posti in essere dalle imprese prima di questa data continuerà diregola ad applicarsi preesistente normativa di pubblicità ingannevole.

 

La normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa illecita è destinata all’esclusiva tutela delle imprese, mentre la normativa sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori è destinata a proteggere il consumatore, definito come “qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale” (art. 18, lettera a, del Codice del consumo).

 

Ai comportamenti posti in essere dalle imprese prima di questa data continuerà di regola ad applicarsi la preesistente normativa di pubblicità ingannevole, solo su denuncia di parte.

 

Le pratiche commerciali scorrette

 

Viene definita scorretta la pratica commerciale che è “contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori” (art. 20, comma 2, del Codice del consumo).

Vengono poi distinti due tipi di pratiche commerciali scorrette. Da un lato, vi sono le “pratiche ingannevoli”, che possono consistere di “azioni ingannevoli” o di “omissioni ingannevoli”. Azioni od omissioni sono considerate ingannevoli nella misura in cui inducono il consumatore medio ad assumere decisioni che altrimenti non avrebbe preso. Dall’altro lato, vi sono le “pratiche aggressive”, intese come quelle che inducono il consumatore medio ad assumere decisioni di natura commerciale che diversamente non avrebbe assunto mediante molestie, coercizione o altre forme di indebito condizionamento.

La nuova disciplina, inoltre, individua specificamente una serie di pratiche ingannevoli e di pratiche aggressive che sono considerate tali di per sé, senza il bisogno di dimostrare la loro idoneità a falsare le scelte del consumatore.

 

La pubblicità ingannevole e comparativa

 

Con il termine pubblicità si intende generalmente quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici (attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet), che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi.

Il decreto legislativo n. 206/2005 (Codice del consumo) definisce come pubblicità qualunque forma di messaggio che sia diffuso, nell’esercizio di una attività economica, allo scopo di promuovere la vendita o il trasferimento di beni mobili o immobili, oppure la prestazione di opere e servizi. Come si vede, la nozione è molto ampia e include ogni forma di comunicazione promozionale, quali che siano le sue modalità o i mezzi di diffusione. Restano escluse invece le pubblicità non commerciali, nel senso che non sono riferite ad attività economiche, quali la propaganda politica e la pubblicità sociale.

Sono incluse nella nozione di pubblicità quelle forme di comunicazione che, anche se non tendono immediatamente a spingere all’acquisto di beni o servizi, promuovono comunque l’immagine dell’impresa presso il pubblico dei consumatori.

Quanto alle modalità pubblicitarie ed ai mezzi di diffusione, la fantasia dei pubblicitari, lo sviluppo tecnologico e l’evoluzione delle tecniche di marketing fanno sì che il fenomeno della pubblicità subisca continue innovazioni. Accanto ai mezzi di diffusione tradizionali – come la televisione, i quotidiani e periodici, le affissioni, il direct marketing (comunicazione via posta, via telefono e offerte porta a porta), la radio, il cinema e la stessa confezione dei prodotti – stanno nascendo nuovi veicoli pubblicitari, come Internet: tutto dipende dall’inventiva e dallo spirito di iniziativa degli operatori. Il decreto si applica, come è ovvio, alla pubblicità diffusa con qualsiasi mezzo.

 

La pubblicità comparativa è quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti. Tali concorrenti possono essere individuati genericamente o invece specificamente. Nel primo caso si parla di pubblicità comparativa indiretta.

 

Ad esempio, chi attribuisce al proprio prodotto pregi unici implicitamente afferma che tali pregi non sono posseduti da tutti i prodotti concorrenti (un esempio può essere: “L’unica autovettura silenziosa come la notte”). Nel secondo caso si parla invece di pubblicità comparativa diretta. Qui i concorrenti sono invece resi riconoscibili o mediante citazione espressa della loro denominazione o del loro marchio (ad esempio: “L’auto X è più confortevole della Y e costa meno”), ovvero mediante l’indicazione di elementi che li rendano inequivocabilmente riconoscibili (un esempio di fantasia potrebbe essere: “Ci sono banane solo con il timbro e ci sono banane sane come Paquita”, dove, attraverso il “timbro”, è possibile individuare un’altra marca, anche se non viene esplicitamente nominata). Il confronto, ovviamente, può essere espresso a parole, ma anche attraverso immagini in grado di ottenere, spesso in modo più efficace, il medesimo risultato.

 

In Italia la pubblicità comparativa non è mai stata esplicitamente vietata dalla legge, ma, soprattutto quella diretta, è stata spesso ritenuta illecita dai giudici sulla base di un’interpretazione restrittiva delle esistenti norme in materia di concorrenza sleale (articolo 2598 del codice civile). Essa ha invece trovato ampio spazio nel sistema statunitense, in cui ha dato luogo a memorabili battaglie tra produttori di prodotti concorrenti.

 

La pubblicità comparativa diretta ha tradizionalmente suscitato la preoccupazione di molte imprese, perché la sua natura aggressiva incrementa i costi della battaglia concorrenziale. Essa tuttavia, se condotta correttamente, rappresenta uno strumento informativo fondamentale a disposizione dei consumatori, in quanto aumenta la trasparenza del mercato; ciascun produttore può valorizzare quei pregi che rendono superiore il suo prodotto rispetto a quelli degli altri, accreditandosi così presso il pubblico dei consumatori che potrebbe decretarne il successo.

 

I poteri dell'Autorità

 

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in base alla nuova disciplina, può, sia per le pratiche commerciali scorrette che per la pubblicità ingannevole e comparativa, avviare i procedimenti anche d’ufficio, ossia senza attendere segnalazioni esterne. Ha poteri investigativi, che comprendono la possibilità di accedere a qualsiasi documento pertinente, di richiedere a chiunque informazioni e documenti pertinenti con la facoltà di sanzionare l’eventuale rifiuto o la trasmissione di informazioni e documenti non veritieri, di effettuare ispezioni, di avvalersi della Guardia di finanza, di disporre perizie.

Una volta accertata la violazione l’Autorità può inibirne la continuazione, disporre la pubblicazione di dichiarazioni rettificative a spese dell’impresa responsabile e irrogare una sanzione pecuniaria che va da 5.000 a 500.000 euro. Se la pratica riguarda prodotti pericolosi o può minacciare, anche indirettamente, la sicurezza di bambini o adolescenti la sanzione minima è di 50.000 euro. In caso di inottemperanza ai provvedimenti dell’Autorità la sanzione va dai 10.000 ai 150.000 euro.

 

E’ previsto l’istituto degli impegni: ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità, l’Autorità potrà rinunciare all’accertamento dell’infrazione se l’impresa si impegna a eliminare i profili di illegittimità rilevati nella pratica commerciale.

 

Un accenno al contesto internazionale: la normativa sulla pubblicità ingannevole e/o comparativa nei principali paesi europei e negli Stati Uniti

 

La direttiva comunitaria sulla pubblicità ingannevole del 1984 indicava gli elementi a cui riferirsi per verificare se sussiste l’ingannevolezza (relativi al prezzo, al prodotto e all’impresa produttrice) e lasciava poi agli Stati membri la possibilità di decidere quale dovesse essere l’organo al quale concretamente rivolgersi per ottenere una pronuncia di divieto della pubblicità ingannevole.

 

Le formule adottate nei vari paesi europei sono state diverse: in alcuni la tutela dalla pubblicità ingannevole è stata affidata al giudice civile, penale o amministrativo (come in Belgio, Olanda, Germania, Francia); in altri le relative competenze sono state attribuite ad autorità indipendenti, così come è successo in Italia.

 

La Svezia, la Danimarca e la Norvegia avevano già introdotto durante gli anni ‘70 l’istituto del difensore civico dei consumatori, mentre nel Regno Unito dal 1988 il Director General of Fair Trading vigila sull’applicazione delle norme in materia di pubblicità ingannevole, con esclusione di quella radiotelevisiva, per la quale è competente la Independent Television Commission. A differenza di quella italiana, queste autorità amministrative non assumono direttamente le decisioni, ma possono ricorrere all’autorità giudiziaria per l’adozione di provvedimenti inibitori nei confronti di messaggi pubblicitari ingannevoli.

 

Anche l’Irlanda, nel 1988, ha istituito una autorità amministrativa deputata alla protezione dei consumatori, l’Office of Consumer Affair and Fair Trading, che ha la competenza a reprimere tutti gli abusi commessi in materia di pubblicità ingannevole.

 

La direttiva del 1997 sulla pubblicità comparativa non lasciava invece agli stati membri alcuna libertà di prevedere discipline diverse. Ne deriva che tutti gli stati membri hanno dovuto introdurre nei loro ordinamenti norme analoghe a quelle già descritte per l’Italia mentre per quegli stati (come la Francia o la Germania) in cui già esisteva, da epoca più o meno recente, una qualche disciplina della materia, si è posto il problema della sua revisione.

Negli Stati Uniti dal 1938 la Federal Trade Commission (FTC) è competente a reprimere tutti gli abusi che possono pregiudicare la capacità dei consumatori di esprimere una scelta consapevole, vietando la continuazione di campagne pubblicitarie ingannevoli. All’inizio la competenza della FTC era limitata ad alcuni particolari settori merceologici (cosmetici, cibo, medicinali, strumenti di lavoro) e la possibilità di richiedere l’applicazione di sanzioni penali era limitata al caso in cui si fossero verificati danni alla salute del consumatore. Nel 1973 una modifica della normativa eliminò le limitazioni merceologiche e, per ovviare ai problemi derivanti dai tempi lunghi necessari per la conclusione delle istruttorie, conferì alla FTC il potere di agire presso qualsiasi corte federale al fine di ottenere provvedimenti provvisori di sospensione delle campagne pubblicitarie ritenute ingannevoli.

 

Anche altri paesi anglosassoni, come l’Australia e il Canada, hanno ritenuto opportuno affidare la tutela dei consumatori contro la pubblicità ingannevole agli organi creati per garantire il rispetto delle norme in materia di concorrenza tra imprese.

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